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Le dimissioni rappresentano l’atto con il quale il lavoratore
decide di recedere dal proprio rapporto di lavoro.
Le ragioni che spingono il lavoratore a fare questa scelta sono
le più svariate.
Una tra queste è rappresentata dall’accesso al trattamento
pensionistico.
In altre parole il lavoratore lascia il lavoro perché ha oramai
raggiunto i requisiti per poter usufruire della pensione.
In questa maniera egli sostituisce il trattamento pensionistico
al proprio stipendio da lavoratore dipendente, quale fonte di sostentamento
economico.
Ma cosa succede nel caso in cui il lavoratore rassegna le
dimissioni nella convinzione di aver maturato i requisiti pensionistici, mentre
invece la contribuzione accumulata nel corso degli anni non è ancora sufficiente
a garantirgli l’accesso al trattamento?
Può il lavoratore impugnare le proprie dimissioni sostenendo di
averle rassegnate per errore, vale a dire nell’erronea convinzione di aver già
maturato i requisiti pensionistici?
Secondo una parte della giurisprudenza l’errore, in questi
casi, non è rilevante, per cui le dimissioni non sarebbero impugnabili né
annullabili.
Se tuttavia è stato l’Istituto Previdenziale (es. l’Inps) ad
indurre in errore il lavoratore, ad esempio comunicandogli l’accumulo di un
numero di contributi superiore rispetto a quello reale, il dipendente potrà
intentare un’azione legale contro il predetto Istituto al fine di ottenere il
risarcimento del danno.
Avv. Francesco Barletta
www.licenziamento-dimissioni.com
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