Vedi anche:
La disciplina delle dimissioni si fonda sulla regola generale
della libera recedibilità, vale a dire che il lavoratore è libero di sciogliersi
dal vincolo contrattuale che lo lega al datore di lavoro.
Ciò si giustifica con il fatto che il lavoratore ha il diritto
di scegliere il proprio futuro professionale e la controparte contrattuale (il
datore) alla quale legarsi, così come il diritto di cambiare in qualsiasi
momento attività lavorativa e venire così a svolgere un’occupazione che ritiene
più corrispondente di altre alle proprie attitudini ed aspirazioni personali.
In cosa consiste la libertà di recesso?
Sostanzialmente nella possibilità di dimettersi liberamente,
senza dover addurre alcun tipo di motivazione.
Diverso invece il discorso quando ricorre una giusta causa di
dimissioni.
Laddove infatti si verifichi una causa così grave da non
consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro, il
dipendente può dimettersi immediatamente.
Le dimissioni per giusta causa spesso costituiscono una
reazione del lavoratore ad un comportamento grave ed intollerabile del datore di
lavoro.
In questi casi il lavoratore gode di una serie di tutele, ma
per ottenerle è necessario che dimostri l’esistenza del motivo di recesso.
Il lavoratore deve cioè dimostrare che il comportamento tenuto
dal datore di lavoro configuri una giusta causa di dimissioni.
Ci si chiede se il lavoratore debba circostanziare la giusta
causa sin dal momento delle dimissioni, oppure se invece possa fornirne la prova
anche successivamente, in sede di giudizio.
La questione ha tenuto banco tra gli studiosi ed ha generato
sostenitori sia in un senso che nell’altro.
E’ ovvio poi che il lavoratore non può addurre un motivo
illecito, al fine di giustificare il proprio recesso dal rapporto di lavoro.
Anzi, un eventuale motivo illecito renderebbe nullo il recesso
stesso.
Al riguardo, ad esempio, sono state considerate illecite le
dimissioni rassegnate dal lavoratore per rappresaglia politica nei confronti del
datore di lavoro.
Diversamente opinando, infatti, il potere di recesso del
lavoratore entrerebbe in conflitto con un fondamentale diritto di libertà del
datore di lavoro, vale a dire quello di poter scegliere liberamente il proprio
orientamento politico.
Avv. Francesco Barletta
www.licenziamento-dimissioni.com
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